Tuesday, April 15, 2014

“Suicidio pechista”: vince la paura del referendum



ELEZIONI QUEBEC 2014

 di Vittorio Giordano (cittadinocanadese.com)

 
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, recita un antico e famoso adagio. Un proverbio che suona come l’epitaffio perfetto per il Parti québécois (PQ), impeccabile e perfino geniale nel “suicidarsi politicamente” dopo soli 18 mesi di governo: passerà alla storia come il meno longevo e il primo guidato da una donna. Un’opera d’arte al rovescio, con il Parti Québécois “regista”, dall’inizio alla fine, di un tracollo annunciato; e i partiti all’opposizione spettatori interessati, e vincenti. Sollecitata dai sondaggi favorevoli, il 5 marzo scorso il Primo Ministro Pauline Marois ottiene lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale alla ricerca di quella maggioranza parlamentare in grado di garantirle l’approvazione della controversa Carta dei valori. L’intero governo viene sacrificato sull’altare della “neutralità e laicità dello stato” attraverso il bando dei simboli religiosi nell’amministrazione pubblica. Un provvedimento percepito come non prioritario, anzi, non necessario, se non addirittura superato, in una società multiculturale e accogliente come quella quebecchese. E così, nonostante l’economia stenti, il governo stanzia oltre 80 milioni per mettere in moto la macchina del voto. Una forzatura ingiustificata. Dopo soli 4 giorni, la Marois si gioca l’asso nella manica ed estrae dal cilindro la candidatura a sorpresa del magnate dell’editoria Pierre Karl Péladeau, il “Rupert Murdoch del Québec” (che poi risulterà eletto nel collegio di Saint-Jerome). Un ‘colpo ad effetto’ per conferire ancora più autorevolezza al suo futuro governo e spezzare sul nascere le velleità di vittoria, soprattutto quelle liberali. Succederà, invece, l’esatto contrario. Per il PQ sarà una disfatta: da 54 a 30 deputati, solo il 25.38% dei consensi, il peggiore risultato dopo quello del 1970 (23.06%), e la Marois non rieletta nel suo collegio, sconfitta da una perfetta sconosciuta: la liberale Caroline Simard. L’assist dell’indipendenza rappresenta una manna dal cielo per le opposizioni, che, cinicamente, impostano la campagna elettorale sullo spauracchio dell’indipendenza. Gli anti-referendum e anti-carta (anglofoni e minoranze etnico-religiose su tutti) si compattano e premiano il partito federalista e filo-Ottawa per eccellenza, quello liberale di Philippe Couillard, che diventa così il 31º Primo Ministro di un governo maggioritario. Gioisce anche il Primo Ministro federale, il conservatore Stephen Harper: “I quebecchesi hanno rigettato il referendum, vogliono un governo che si concentri sul lavoro e sull’economia”. I liberali tornano così al potere 18 mesi dopo essere stati “defenestrati” dagli studenti e nonostante le accuse di corruzione e finanziamento illecito, che ancora oggi pesano come macigni sulla credibilità di Jean Charest. I liberali sono stati bravi a voltare subito pagina e a farsi trovare pronti puntando sui “vraies affaires”; ma la vittoria, per quanto schiacciante, suona più come un voto di protesta contro il PQ, colpevole di aver tirato troppo la corda, fino a "minacciare" un terzo referendum sull’indipendenza (dopo quelli, falliti, del 1980 e 1995). La verità è che la proposta di separare il Québec dal Canada è ormai irricevibile perché anacronistica e, soprattutto, invisa alle nuove generazioni: gli elettori del PQ sono per lo più ‘baby boomers’ (nati cioè tra il 1947 e il 1966), sempre più isolati in un mondo ormai globalizzato e in un Québec che si è via via liberato del complesso di inferiorità linguistico ed economico, grazie anche alla legge 101 di matrice pechista. Il timore maggiore per il PQ, adesso, è quello di un progressivo ridimensionamento alla luce della crescita della Coalition Avenir Québec (CAQ), distanziato dal PQ solo del 2,33%. A differenza dei liberali, infatti, Legault è in grado di attirare sia gli elettori dell’autonomismo federalista (PLQ) che del laicismo sovranista (PQ), risultando quindi meno polarizzante e lacerante sui temi della difesa degli interessi quebecchesi. Quella di Legault, infatti, è un’ottica più autonomista che secessionista, facendo salvo l’assetto federale. Una posizione che potrebbe fare proseliti e risultare addirittura vincente nel prossimo futuro. Del resto, i quebecchesi sono stati chiari: non esiste un Québec senza il Canada. Couillard e Legault lo sapevano già. Ora lo ha capito anche il PQ, che forse, pero', ha fallito l’ultimo l’appuntamento con la storia per diventare (finalmente) un partito di governo.


Dopo il tracollo pechista, Couillard lavora al nuovo governo

Il PLQ stravince a Montréal e Laval, la CAQ nelle regioni

Montréal - Dopo 18 mesi, è giunto al capolinea il governo di minoranza pechista. Alle elezioni del 7 aprile, Pauline Marois ha ottenuto solo 30 seggi (24 in meno rispetto alle elezioni del 2012) e il 25,38% dei voti. Il Partito Liberale del Québec di Philippe Couillard, invece, ha conquistato 70 seggi (7 in più per la maggioranza) con il 41,52% dei voti, mentre la Coalition avenir Québec di François Legault ha preso il 23.05% delle preferenze e potrà contare su 22 seggi, 3 in più rispetto al 2012. Seggi, questi, “rubati” proprio al PQ, che ha subìto uno “scippo” anche da Québec Solidaire, che all’Assemblea avrà un deputato in più (Massé, oltre a Khadir e David). Nei prossimi giorni il leader liberale - 56 anni, neurochirurgo di professione - annuncerà un governo che, per i prossimi 4 anni, potrà contare su una solida maggioranza parlamentare. Nel suo primo intervento, Couillard ha sottolineato come l’azione del suo governo - che ha definito “responsabile, competente e trasparente” - sarà  rivolta “alla difesa degli interessi del Québec, a partire dall’economia e dal lavoro, e dell’unica maggioranza francofona del Nord America, garantendo fedeltà alla federazione canadese”. Su 6.012.440 di aventi diritto, hanno votato 4.232.262, cioè il 71.43% (contro il 74.60% del 4 settembre 2012). Montréal, in particolare, è più liberale che mai: con 21 eletti su 28, il PLQ conserva tutte le sue roccaforti e si permette il lusso di far fuori un Ministro pechista di peso come Diane De Courcy, battuta a Crémazie. La fortuna della CAQ, invece, sono le regioni (il cosiddetto elettorato ‘450’): dei 22 deputati conquistati dalla CAQ, infatti, 12 arrivano dalla corona nord e sud di Montréal a scapito di ‘pezzi da 90’ pechisti come Pierre Duchesne (Borduas), Martine Dejardinis (Groulx) e Gyslaine Desrosiers (Blainville).



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