Coderre vince, ma non stravince
I due terzi degli elettori montrealesi non hanno votato per
l’ex Ministro liberale
“Tutto deve cambiare perché nulla cambi……”. È la massima de
‘Il Gattopardo’, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Una massima sempre attuale,
ad ogni latutidine e longitudine, che ‘casca a fagiolo’ per interpretare il
voto montrealese. Dopo gli scandali di collusione e corruzione di cui si è
macchiata la classe dirigente ‘vecchio stampo’, ci si aspettava un sussulto
d’orgoglio. Doveva essere il voto del
cambiamento, della protesta, di una nuova ‘rivoluzione tranquilla’. E invece,
alla fine, l’ha spuntata un politico per eccellenza: Denis Coderre (una
personalità fino ad oggi irreprensibile, ma, suo malgrado, simbolo di una
politica datata). Tra i suoi candidati figurano molti ‘pezzi da novanta’
provenienti dal chiacchierato Union Montréal, come Alan DeSousa, Marvin Rotrand
e Michel Bissonnet. Ma il vento dell’antipolitica, incarnato per l’occasione da
un’avvocatessa brillante ma sconosciuta ed inesperta, ha soltanto sfiorato un
‘peso massimo’ come l’ex deputato liberale: il suo carisma ha avuto la meglio
sull’esperienza municipale di Bergeron, sulla competenza economica di Coté e
sulla freschezza coraggiosa di Joly. Ha avuto ragione lui: gli elettori hanno premiato
il suo prestigioso ‘pedigree’ di politico federale. Eletto nella contea di
Bourassa per 16 anni, dal 1997 al 2013, è stato anche Ministro
dell’Immigrazione dal 2002 al 2004: un lusso a cui Montréal non ha saputo
rinunciare. Ma con giudizio e senza staccare cambiali in bianco. Se è vero,
infatti, che gli elettori hanno scelto il candidato più credibile e dal
curriculum più autorevole, il classico
politico di professione, dall’altra è anche vero che hanno deciso di
sorvegliarlo da vicino con un’opposizione per nulla remissiva. Insomma, Coderre
ha vinto, sì, ma non ha stravinto. E la città non trabocca di entusiasmo. Tanto
è vero che il neo sindaco ha conquistato il 32,12 % dei consensi, molto meno di
quanto gli accordavano i sondaggi (che lo davano oltre il 40%) e addirittura
meno di quanto raccolto da Gérald Tremblay nel 2009 (il 37.9%, ovvero 159.020
voti), subito dopo lo scandalo dei contatori d’acqua. A conti fatti, anzi, i
due terzi dei montrealesi hanno votato diversamente. Sarebbe bastato che Coté e
Joly si fossero uniti per battere senza difficoltà l’ex Ministro liberale. Ad
agevolare Coderre è stata la dispersione del
voto contro, così come un sistema elettorale maggioritario secco. Oltre ad una
macchina organizzativa diffusa e capillare, che ha saputo serrare le fila dei
sostenitori. Al contrario di quanto fatto da Melanie Joly, che si è ritrovata
catapultata in una realtà al di sopra delle più rosee aspettative: la sua
squadra improvvisata di volontari non è stata in grado di invogliare soprattutto
i più giovani a recarsi alle urne. Il tasso di partecipazione, infatti, è
aumentato di pochi punti, passando dal 39.4% al 43,30 % (ben al di sotto della
media provinciale, pari al 50%): una crescita non sufficiente per cambiare il
volto della politica montrealese. Ma sufficiente per dare a Coderre una
vittoria più misurata, che si è tradotta in 27 seggi su 65 al consiglio
comunale, quindi nella mancanza di una maggioranza relativa; e nella conquista
di 8 arrondissements su 19 (nel 2005
erano stati solo 2 su 19 quelli ‘sfuggiti’ a Union Montréal, mentre 4 anni dopo
erano saliti a 6). Due piccoli ‘segnali’ che suonano come un avviso: Coderre
non può fare il bello
e cattivo tempo, ma dovrà scendere a compromessi. Un modo per arginarne il
potere e controllarne la discrezionalità. Certo, Coderre potrà sempre bypassare
l’ostacolo accogliendo nella sua squadra gli 8 indipendenti eletti, anche
perché molti sono ex ‘generali’ di Union Montréal (come Luis Miranda, Marie
Cinq-Mars, Manon Barbe e Claude Dauphin); senza trascurare il fatto che, a
livello municipale, gli steccati partitici sono piuttosto aleatori. Sta a
Coderre, adesso, non abusare della ‘fiducia non illimitata’ che gli hanno
accordato gli elettori, amministrando la città nel segno del dialogo e della trasparenza. Potrebbe
essere l’ultima occasione: se traditi, tra 4 anni gli elettori potrebbero
voltare le spalle ai vecchi politici. E, questa volta,
dare la propria fiducia anche ad un’avvocatessa sconosciuta ed inesperta.
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