di Vittorio Giordano (@vittoriog82)
Montréal - Sono sempre di più
gli italiani che lasciano il Belpaese. La maggior parte di loro parte in
silenzio, in cerca di nuove sfide professionali o... magari perché innamorati.
Oltreoceano trovano un terreno fertile e riescono a mettere a frutto il proprio
talento. Non amano mettersi in mostra, ma emergono quasi per inerzia, perché
sono i migliori. Uno di loro è il maestro Enzo De Rosa, un formidabile
pianista-compositore che abbiamo conosciuto quasi per caso, durante una
conferenza-concerto sul Canale di Suez, tenuta il 25 marzo scorso dal Console
Generale della Repubblica d’Egitto a Montréal, Amin Meleika. Per
l’occasione, De Rosa ha eseguito al pianoforte alcune delle arie più celebri
dell’ “Aida” di Verdi, opera commissionata dal re d’Egitto proprio per
l’inaugurazione del canale (avvenuta nel 1869). De Rosa, “orgogliosamente
originario di Napoli”, è un altro esempio di eccellenza ‘Made in Italy’. “Sono 4 anni che vado e vengo da Montréal –
ci ha detto - ma dal novembre del 2013 mi sono concesso un anno sabbatico per
capire se posso restare. In Italia sono professore al Conservatorio di musica di
Benevento, ho il posto fisso e non è facile rinunciarci. Ma, come dicono gli
americani, il successo si trova al di fuori della ‘comfort-zone’. Nel 2010 ho
sposato Isabelle Metwalli, una soprano di Montréal, conosciuta un anno prima a
Toronto, che parla molto bene l’italiano e grazie alla quale oggi sono padre di
Leonardo”. Le sue impressioni su Montréal. “È uno dei centri
internazionali che ospita i più grandi artisti del mondo: recentemente ho
assistito ai concerti del violoncellista Yo-Yo Ma e del gruppo gospel a
cappella Take 6. Artisti di livello assoluto che non rientrano nel circuito
musicale italiano. È un fatto culturale, ma anche di mercato”. A 50 anni
vuole rimettersi in gioco. “Qui posso fare quello che in Italia non posso
fare più: il musicista. Ho già fatto molti concerti. La prima volta ho eseguito
dei brani del compositore greco Mikis Theodorakis. Il 15 aprile farò un
concerto sulle musiche dei Rondò Veneziano ed a maggio una conferenza-concerto
sul cinema italiano insieme a Chiara Piazzesi, che insegna Sociologia all’UQAM.
Certamente Montréal è una destinazione che si presta ad un’emigrazione più
imprenditoriale che culturale. Trovandomi qui, però, cerco di fare quello che
so fare, collaborando con istituzioni come la Cinémathèque québécoise. Pensando
al cinema, mi viene in mente Ennio Morricone. “Morricone ha inventato il
‘sound’ del western: prima di lui le colonne sonore americane erano molto
orchestrali, mentre Morricone usa dei simboli musicali come l’armonica o il
flauto che rappresentano un vero e proprio linguaggio. In Nord America saper
fare molte cose non rappresenta un asset. Morricone, invece, ha realizzato
centinaia di colonne sonore per i generi più disparati. Anche a me piace
spaziare. Ho appena arrangiato delle canzoni russe per uno spettacolo al Teatro
‘Manzoni’ di Roma, ho realizzato musiche per una serie di documentari sulla
storia, musiche orchestrali per un cortometraggio che ha vinto il ’48° film
festival’. Saper gestire più linguaggi è un valore aggiunto”. Parliamo
dell’opera. “Il mio modello è il Bel
Canto italiano: come ‘vocal coach’, a
Montréal ho aiutato molti cantanti lirici a capire il suono della lingua
italiana, il fraseggio, la pronuncia e la respirazione”. Che tipo di musica
predilige? “Sono moderno, ma la mia formazione è classica e la mia radice
partenopea: quindi melodia, passione, sole, tradizione e ironia. Per me la vera
ricchezza non è espandersi, ma andare alla radice, scavare in profondità. Come
si immagina nel 2020? “In 6 anni mi piacerebbe ritirare l’Oscar a Los
Angeles per la colonna sonora di un film passionale e romantico". La
napoletanità è una marcia in più. “Metto a disposizione il mio talento
nella speranza che un giorno la vita possa ripagarmi. Ma senza interesse: è la
mia natura napoletana che mi porta ad essere generoso, passionale ed
entusiasta”. Il ruolo di Montréal . “Le persone sono un po’ come uno
specchio: più capisco gli altri, più scopro me stesso. A Montréal posso
crescere tanto perché mi relaziono a persone che hanno modi completamente
diversi. Spesso confrontiamo il nostro
microcosmo con l’universo: pensiamo che il nostro mondo sia quello in cui
dobbiamo vivere per sempre. Da quando ho scoperto il Canada, mi sono accorto
che quella in Italia era una palude. Nella vita bisogna guardarsi bene dalla
‘comfort-zone’ e accettare le sfide, per vincerle”.
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