Tuesday, April 8, 2014

De Rosa, il maestro napoletano che sogna l’Oscar



 di Vittorio Giordano (@vittoriog82)

Montréal - Sono sempre di più gli italiani che lasciano il Belpaese. La maggior parte di loro parte in silenzio, in cerca di nuove sfide professionali o... magari perché innamorati. Oltreoceano trovano un terreno fertile e riescono a mettere a frutto il proprio talento. Non amano mettersi in mostra, ma emergono quasi per inerzia, perché sono i migliori. Uno di loro è il maestro Enzo De Rosa, un formidabile pianista-compositore che abbiamo conosciuto quasi per caso, durante una conferenza-concerto sul Canale di Suez, tenuta il 25 marzo scorso dal Console Generale della Repubblica d’Egitto a Montréal, Amin Meleika. Per l’occasione, De Rosa ha eseguito al pianoforte alcune delle arie più celebri dell’ “Aida” di Verdi, opera commissionata dal re d’Egitto proprio per l’inaugurazione del canale (avvenuta nel 1869). De Rosa, “orgogliosamente originario di Napoli”, è un altro esempio di eccellenza ‘Made in Italy’.  “Sono 4 anni che vado e vengo da Montréal – ci ha detto - ma dal novembre del 2013 mi sono concesso un anno sabbatico per capire se posso restare. In Italia sono professore al Conservatorio di musica di Benevento, ho il posto fisso e non è facile rinunciarci. Ma, come dicono gli americani, il successo si trova al di fuori della ‘comfort-zone’. Nel 2010 ho sposato Isabelle Metwalli, una soprano di Montréal, conosciuta un anno prima a Toronto, che parla molto bene l’italiano e grazie alla quale oggi sono padre di Leonardo”. Le sue impressioni su Montréal. “È uno dei centri internazionali che ospita i più grandi artisti del mondo: recentemente ho assistito ai concerti del violoncellista Yo-Yo Ma e del gruppo gospel a cappella Take 6. Artisti di livello assoluto che non rientrano nel circuito musicale italiano. È un fatto culturale, ma anche di mercato”. A 50 anni vuole rimettersi in gioco. “Qui posso fare quello che in Italia non posso fare più: il musicista. Ho già fatto molti concerti. La prima volta ho eseguito dei brani del compositore greco Mikis Theodorakis. Il 15 aprile farò un concerto sulle musiche dei Rondò Veneziano ed a maggio una conferenza-concerto sul cinema italiano insieme a Chiara Piazzesi, che insegna Sociologia all’UQAM. Certamente Montréal è una destinazione che si presta ad un’emigrazione più imprenditoriale che culturale. Trovandomi qui, però, cerco di fare quello che so fare, collaborando con istituzioni come la Cinémathèque québécoise. Pensando al cinema, mi viene in mente Ennio Morricone. “Morricone ha inventato il ‘sound’ del western: prima di lui le colonne sonore americane erano molto orchestrali, mentre Morricone usa dei simboli musicali come l’armonica o il flauto che rappresentano un vero e proprio linguaggio. In Nord America saper fare molte cose non rappresenta un asset. Morricone, invece, ha realizzato centinaia di colonne sonore per i generi più disparati. Anche a me piace spaziare. Ho appena arrangiato delle canzoni russe per uno spettacolo al Teatro ‘Manzoni’ di Roma, ho realizzato musiche per una serie di documentari sulla storia, musiche orchestrali per un cortometraggio che ha vinto il ’48° film festival’. Saper gestire più linguaggi è un valore aggiunto”. Parliamo dell’opera.  “Il mio modello è il Bel Canto italiano: come  ‘vocal coach’, a Montréal ho aiutato molti cantanti lirici a capire il suono della lingua italiana, il fraseggio, la pronuncia e la respirazione”. Che tipo di musica predilige? “Sono moderno, ma la mia formazione è classica e la mia radice partenopea: quindi melodia, passione, sole, tradizione e ironia. Per me la vera ricchezza non è espandersi, ma andare alla radice, scavare in profondità. Come si immagina nel 2020? “In 6 anni mi piacerebbe ritirare l’Oscar a Los Angeles per la colonna sonora di un film passionale e romantico". La napoletanità è una marcia in più. “Metto a disposizione il mio talento nella speranza che un giorno la vita possa ripagarmi. Ma senza interesse: è la mia natura napoletana che mi porta ad essere generoso, passionale ed entusiasta”. Il ruolo di Montréal . “Le persone sono un po’ come uno specchio: più capisco gli altri, più scopro me stesso. A Montréal posso crescere tanto perché mi relaziono a persone che hanno modi completamente diversi. Spesso  confrontiamo il nostro microcosmo con l’universo: pensiamo che il nostro mondo sia quello in cui dobbiamo vivere per sempre. Da quando ho scoperto il Canada, mi sono accorto che quella in Italia era una palude. Nella vita bisogna guardarsi bene dalla ‘comfort-zone’ e accettare le sfide, per vincerle”. 


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