ELEZIONI QUEBEC 2014
di Vittorio Giordano
(cittadinocanadese.com)
“Chi
è causa del
suo mal pianga se stesso”, recita un antico e famoso adagio. Un proverbio che
suona come l’epitaffio perfetto per il Parti québécois (PQ), impeccabile
e perfino geniale nel “suicidarsi politicamente” dopo soli 18 mesi di governo:
passerà alla storia come il meno longevo e il primo guidato da una donna.
Un’opera d’arte al rovescio, con il Parti Québécois “regista”, dall’inizio alla
fine, di un tracollo annunciato; e i partiti all’opposizione spettatori
interessati, e vincenti. Sollecitata dai sondaggi favorevoli, il 5 marzo scorso
il Primo Ministro Pauline Marois ottiene lo scioglimento dell’Assemblea
Nazionale alla ricerca di quella maggioranza parlamentare in grado di
garantirle l’approvazione della controversa Carta dei valori. L’intero governo
viene sacrificato sull’altare della “neutralità e laicità dello stato”
attraverso il bando dei simboli religiosi nell’amministrazione pubblica. Un
provvedimento percepito come non prioritario, anzi, non necessario, se non
addirittura superato, in una società multiculturale e accogliente come quella
quebecchese. E così, nonostante l’economia stenti, il governo stanzia oltre 80
milioni per mettere in moto la macchina del
voto. Una forzatura ingiustificata. Dopo soli 4 giorni, la Marois si gioca
l’asso nella manica ed estrae dal cilindro la candidatura a sorpresa del magnate
dell’editoria Pierre Karl Péladeau, il “Rupert Murdoch del Québec” (che poi
risulterà eletto nel collegio di Saint-Jerome). Un ‘colpo ad effetto’ per
conferire ancora più autorevolezza al suo futuro governo e spezzare sul nascere
le velleità di vittoria,
soprattutto quelle liberali. Succederà, invece, l’esatto contrario. Per il PQ
sarà una disfatta: da 54 a 30 deputati, solo il 25.38% dei consensi, il
peggiore risultato dopo quello del
1970 (23.06%), e la Marois non rieletta nel suo collegio, sconfitta da una
perfetta sconosciuta: la liberale Caroline Simard. L’assist dell’indipendenza
rappresenta una manna dal cielo per le opposizioni, che, cinicamente, impostano
la campagna elettorale sullo spauracchio dell’indipendenza. Gli anti-referendum
e anti-carta (anglofoni e minoranze etnico-religiose su tutti) si compattano e
premiano il partito federalista e filo-Ottawa per eccellenza, quello liberale
di Philippe Couillard, che diventa così il 31º Primo Ministro di un governo
maggioritario. Gioisce anche il Primo Ministro federale, il conservatore
Stephen Harper: “I quebecchesi hanno rigettato il referendum, vogliono un
governo che si concentri sul lavoro e sull’economia”. I liberali tornano così
al potere 18 mesi dopo essere stati “defenestrati” dagli studenti e nonostante
le accuse di corruzione e finanziamento illecito, che ancora oggi pesano come
macigni sulla credibilità di Jean Charest. I liberali sono stati bravi a
voltare subito pagina e a farsi trovare pronti puntando sui “vraies affaires”;
ma la vittoria, per quanto schiacciante, suona
più come un voto di protesta contro il PQ, colpevole di aver tirato troppo la
corda, fino a "minacciare" un terzo referendum sull’indipendenza (dopo quelli,
falliti, del
1980 e 1995). La verità è che la proposta di separare il Québec dal Canada è
ormai irricevibile perché anacronistica e, soprattutto, invisa alle nuove
generazioni: gli elettori del PQ sono per lo più ‘baby boomers’ (nati cioè tra
il 1947 e il 1966), sempre più isolati in un mondo ormai globalizzato e in un
Québec che si è via via liberato del complesso di inferiorità linguistico ed
economico, grazie anche alla legge 101 di matrice pechista. Il timore maggiore
per il PQ, adesso, è quello di un progressivo ridimensionamento alla luce della
crescita della Coalition Avenir Québec (CAQ), distanziato dal PQ solo del 2,33%. A differenza
dei liberali, infatti, Legault è in grado di attirare sia gli elettori
dell’autonomismo federalista (PLQ) che del
laicismo sovranista (PQ), risultando quindi meno polarizzante e lacerante sui
temi della difesa degli interessi quebecchesi. Quella di Legault, infatti, è
un’ottica più autonomista che secessionista, facendo salvo l’assetto federale.
Una posizione che potrebbe fare proseliti e risultare addirittura vincente nel
prossimo futuro. Del resto, i quebecchesi sono stati chiari: non esiste un Québec senza il Canada. Couillard e Legault lo sapevano già. Ora lo ha capito anche il PQ, che forse, pero', ha fallito l’ultimo l’appuntamento con la storia per diventare (finalmente) un partito di governo.
Dopo il tracollo pechista, Couillard
lavora al nuovo governo
Il PLQ stravince a Montréal e Laval, la
CAQ nelle regioni
Montréal
- Dopo 18 mesi, è giunto al capolinea il governo di minoranza pechista. Alle
elezioni del 7 aprile, Pauline Marois ha
ottenuto solo 30 seggi (24 in meno rispetto alle elezioni del 2012) e il 25,38% dei voti. Il Partito
Liberale del Québec di Philippe Couillard, invece, ha conquistato 70 seggi (7
in più per la maggioranza) con il 41,52% dei voti, mentre la Coalition avenir
Québec di François Legault ha preso il 23.05% delle preferenze e potrà contare su 22 seggi, 3 in più rispetto al 2012. Seggi, questi, “rubati” proprio al PQ, che
ha subìto uno “scippo” anche da Québec Solidaire, che all’Assemblea avrà un
deputato in più (Massé, oltre a Khadir e David). Nei prossimi giorni il leader
liberale - 56 anni, neurochirurgo di professione - annuncerà un governo che,
per i prossimi 4 anni, potrà contare su una solida maggioranza parlamentare.
Nel suo primo intervento, Couillard ha sottolineato come l’azione del suo governo - che ha definito “responsabile,
competente e trasparente” - sarà rivolta
“alla difesa degli interessi del Québec, a partire dall’economia e dal lavoro,
e dell’unica maggioranza francofona del Nord America,
garantendo fedeltà alla federazione canadese”. Su 6.012.440 di aventi diritto,
hanno votato 4.232.262, cioè il 71.43% (contro il 74.60% del 4 settembre 2012). Montréal, in
particolare, è più liberale che mai: con 21 eletti su 28, il PLQ conserva tutte
le sue roccaforti e si permette il lusso di far fuori un Ministro pechista di
peso come Diane De Courcy, battuta a Crémazie. La fortuna della CAQ, invece,
sono le regioni (il cosiddetto elettorato ‘450’): dei 22 deputati conquistati
dalla CAQ, infatti, 12 arrivano dalla corona nord e sud di Montréal a scapito
di ‘pezzi da 90’ pechisti come Pierre Duchesne (Borduas), Martine Dejardinis
(Groulx) e Gyslaine Desrosiers (Blainville).
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